mercoledì 9 novembre 2011

Donne in carriera. Storia di una manager italiana a Boston



(Anche se l'intervista, pubblicata sulla rivista economica "IL CONTO" e raccolta nel libro sopra citato, è di qualche anno fa... la problematica rimane sempre attuale).

A Boston da più di 15 anni, Gabriella Spatolisano, manager di origine italiana, vive con il marito in una splendida casa nella prestigiosa collinetta di Beacon Hill, a pochi passi dalla casa di J.F.Kerry, candidato democratico alle penultime elezioni per la presidenza degli Stati Uniti.
La incontro nella sua casa per conoscere le difficoltà e le soddisfazioni di una donna che riesce a fare carriera superando anche tanti altri problemi in più, rispetto al proprio paese: di lingua, di inserimento e di “genere”.
Laureata in matematica, Gabriella Spatolisano, ha iniziato a lavorare come programmatrice di software in SOGEI, la società di informatica partner del Ministero dell’Economia e delle Finanze e quindi in Digital Equipment Corporation.

E poi cosa è successo?  -  Dopo aver progredito nella programmazione – racconta  - e soprattutto nelle tecniche di reti allora abbastanza nuove, mi sono resa conto che in Italia non si era all'avanguardia in queste tecnologie e che non avrei potuto facilmente conseguire nuove conoscenze e sperimentare nuove tecniche. Per me le scelte di carriera erano limitate: le alternative erano di rimanere a fare il consulente in tecnologie già mature o di entrare nelle vendite. La Digital era una società americana con sedi in molte parti del mondo, venendo a contatto con altri gruppi ho potuto constatare che in altre parti del mondo si lavorava su tecnologie più interessanti.

E a Boston come ci è finita? -  Dopo un anno in Francia, sono stata promossa dirigente. Ho iniziato così la carriera manageriale sempre nell'ambito informatico. In quel momento, parlo di più di 15 anni fa, la carriera manageriale per le donne in Francia, come in Italia, non mi avrebbe portato molto lontano. Il mio manager era americano, e il mio gruppo aveva uno statuto speciale dipendendo direttamente dalla casa madre americana piuttosto che dalla Digital Francia. Al di fuori di questo gruppo, per quello che ho potuto constatare, le possibilità per le donne di avanzare nella carriera manageriale erano limitate ad alcuni settori come Personale o Vendite, e comunque solo fino a un certo livello. Come si dice, ho constatato che c'era un 'glass ceiling', non solo per la carriera ma anche per la retribuzione economica. Infatti, avendo a disposizione statistiche del Personale, ho notato la differenza di stipendi tra donne e uomini nello stesso livello aziendale: le donne guadagnavano di meno. Ancora una volta, mi sono trovata di fronte alla decisione di restare al mio livello di piccolo manager di un piccolo gruppo o trasferirmi in America dove avrei potuto avanzare a livelli manageriali medio-alti. Il gruppo americano, dal quale il gruppo francese dipendeva, aveva un posto disponibile a Boston. Per la seconda volta mi sono trasferita con un contratto permanente.

Fare carriera è stato facile?  -  No. In generale, sia per uomini che per donne, avanzare nella carriera presenta tante sfide e ostacoli, soprattutto nel settore privato altamente competitivo e in particolare nel settore informatico che in questi ultimi 15 anni ha avuto un periodo di boom, con le numerose 'dotcom' che hanno creato ritmi vertiginosi. In particolare per me, una delle difficoltà e' stata la presa d’atto che la conoscenza tecnica non è abbastanza, ma che la conoscenza della psicologia e delle dinamiche caratteriali è altrettanto importante per la carriera. Essendo donna, la tendenza ad essere conciliante, a cercare l'approvazione degli altri, ad attribuirsi facilmente le colpe quando qualcosa va male, spesso rappresenta una barriera interna più grande di quelle esterne. Recentemente ho partecipato ad un incontro dell'organizzazione WorldWIT.org (Women in Business and Technology), di cui faccio parte, e uno dei punti su cui molte donne di carriera si sono trovate d'accordo è stato proprio questo: sono le donne stesse, con queste barriere interne, ad essere artefici delle proprio sconfitte.

Per le donne è sempre molto difficile raggiungere i traguardi più alti?  -  Non so se sono in grado di parlare a nome di tutte le donne, posso solo estrapolare dalla mia esperienza. Negli ultimi tempi c'è stato indubbiamente un passo avanti. Si vede dai numeri: ci sono più donne nel campo lavorativo, più donne nei livelli manageriali e cominciano ad esserci anche donne imprenditori. Anche a livello giuridico, le donne hanno più protezioni contro la discriminazione. Credo che una grande conquista, qui in America almeno, non so se esiste in Italia, è quella del 'paternity leave' che ha aiutato le coppie a gestire la nascita di un figlio senza chiedere alla donna di sacrificare la carriera. Il 'paternity leave' è praticamente la versione maschile dell'assenza per maternità: è un periodo di ferie pagate, in aggiunta alle ferie normali, per un padre alla nascita del figlio. Un altro aspetto positivo è il rispetto che le donne hanno conquistato con i risultati del loro lavoro. Una cosa è avere la legge che incoraggia le aziende a promuovere le donne, un' altra è convincere gli uomini che le loro colleghe meritano la promozione. E credo che più uomini ora hanno questa convinzione perché hanno visto le donne in azione. Ho incontrato nella mia carriera alcune donne in alti vertici e ho constatato l'ammirazione che suscitano sui colleghi così come sulle colleghe. E' vero che ci sono ancora ostacoli, ma le donne hanno più armi per superarli. Il problema è che ci sono donne che non usano queste armi con tutta l'energia necessaria. La differenza che vedo tra l'Italia e l'America è che le donne italiane sono tenute indietro dalla falsa dicotomia tra successo-in-carriera/femminilità. Infatti vedono l'energia imprenditoriale delle donne americane come aggressività e perciò mancanza di femminilità.  Secondo me questo è un freno.

Un altro esempio di come qualcosa sia cambiato anche qui è la polemica suscitata a Boston, qualche anno fa, dal presidente dell'Università di Harvard. Questi dichiarò, in un'occasione pubblica, che è l'innata incapacità femminile nel campo scientifico a spiegare la scarsità di donne nella scienza. Immediatamente dopo questa dichiarazione, si è scatenata un' ondata di disapprovazione nella comunità bostoniana, non solo scientifica, tanto da spingere il presidente a chiedere scusa se non avesse voluto perdere il posto. Come risposta, il Museo della Scienza ha organizzato un giorno di apertura gratis per tutte le donne di tutte le età.


                                                                       

4 commenti:

  1. sono le donne stesse, con queste barriere interne, ad essere artefici delle proprie sconfitte.... Dice tutto.rc

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  2. La capacita' delle donne e la loro difficolta'di affermazione.Bella l'analisi che processa l'essere concilianti e materne anche sul lavoro.Credo che le donne italiane "le armi" le scelgano tra le meno dolorose ed aggressive; percorso piu' ...lungo ma che tutela la poesia della femminilita' . Tutte le donne assolvono piu' di un ruolo nella societa'. E' grazie a questa energia "creatrice" che si stabiliscono e si conservano prioritari equilibri. Come dalla tua intervista, sempre piu' uomini intimamente si convincono del valore dell'intelligenza indipendentemente dal sesso. Mi auguro che sempre di piu' gli uomini aiutino le donne nei loro percorsi, essendo essi percorsi di bene comune, da applicarsi, possibilmente nel proprio paese.Grazie,Mariassunta. Ho trovato molto interessante e spunto di profonda riflessione. Eugenia

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  3. Qui in America sto riscontrando diverse dinamiche nel mondo del lavoro riguardo le diversita' e i pregiudizi. Il problema femminile si intreccia con quello delle minoranze negre e latino-americane. Ho conosciuto recentemente una giornalista che ha lavorato tanti anni come corrispondente di guerra e ha da poco pubblicato un libro sul famoso "glass ceiling" che le donne incontrano quando cercano di salire ai vertici. Lei mi ha detto che le quote (vale a dire un minimo per legge che le aziende devone avere per le minoranze) hanno decisamente migliorato la situazione per le donne bianche. Ma il problema rimane per le negre.

    Io pero' non sono tanto convinta, io non misuro i progressi basandomi sulle percentuali di impiegati nei vari livelli: il fatto che una azienda abbia 50% di donne nei vari livelli manageriali e' un'indice sufficiente per la vera uguaglianza? Se la legge costringe a raggiungere un numero, come queste donne vengono viste e trattate nella vita giornaliera? Ho visto spesso che anche se alle donne viene dato un titolo manageriale, in realta' il loro controllo e' molto ridotto. La giornalista, Susan Reed, ha ammesso che questo e' un problema, effetto boomerang.

    Un altro problema e' l'abuso da parte delle donne, vale a dire che ci sono donne che cercano promozioni non meritate contando sulla paura del management di essere accusati di discriminazione sessuale o razziale (la mia ex-manager per esempio, una donna e una negra).

    Le cose si fanno piu' complicate...



    Se ti interessa, questo e' il libro della giornalista di Boston, lo si trova su amazon.com



    The Diversity Index: The Alarming Truth About Diversity in Corporate America...and What Can Be Done About It

    Susan E. Reed

    http://www.amazon.com/Susan-E.-Reed/e/B0052XMSLE/ref=ntt_dp_epwbk_0
    Gabriella

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  4. Grazie per gli interventi davvero interessanti e molto...molto stimolanti.
    Grazie Rita e grazie Eugenia

    E grazie anche a Gabriella...l'intervistata che ci aggiorna sullo stato delle cose lì a Boston, rendendo quindi questa intervista...attualissima!

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